domenica 15 dicembre 2013

Letture sotto l'albero

Per le letture sotto l'albero degli anni passati vi avevamo proposto alcuni volumi a tema natalizio (Libri da leggere o regalare a Natale e Se stai cercando un libro da regalare o leggere a Natale) e un racconto scritto da Francesca.

Quest'anno invece ne approfittiamo per presentarvi quattro bei libri appena usciti che abbiamo tradotto (e curato, Gialli di Natale a parte) e che costituiscono ottime letture per i giorni più tranquilli delle feste:

Virginia Woolf, Ultimi viaggi in Europa (Mattioli 1885, 122 pp.) 
Sono i diari, in gran parte inediti, dei viaggi che Virginia Woolf fece in Europa negli anni Trenta. A volte scriveva a matita sul suo taccuino mentre si trovava in automobile, con una coperta sulle ginocchia, altre volte con la penna d'oro durante una sosta, seduta sulla scomoda poltroncina di una pensione o ancora sul treno o sul piroscafo, ma in ogni caso i diari sono sempre attraversati dalla stessa urgenza di registrare le impressioni ricavate dagli incontri con paesaggi e persone. Ripercorrono tutti i viaggi del suo ultimo decennio di vita, dall'Italia alla Francia, dalla Germania nazista alla Grecia, e poi ancora in Olanda, Scozia e Irlanda, e sono corredati da note e postfazione.
A chi si addicono: a tutti gli amanti di Virginia Woolf, che vi troveranno pagine mai pubblicate prima in italiano, e a chi è interessato a vivere il viaggio non da un punto di vista turistico, ma filtrato e restituito dalla sensibilità di una grandissima scrittrice. (Leggi un estratto pubblicato sul domenicale del Sole 24 Ore.)


Gialli di Natale (Einaudi, 304 pp.)
Una selezione di dodici racconti natalizi (di cui quattro tradotti da noi) firmati da celebri giallisti del passato e del presente, tra cui G.K. Chesterton, Agatha Christie, Arthur Conan Doyle, Rex Stout, Ellery Queen e Fred Vargas. Il filo conduttore è l'assenza di violenza estrema, perché qualunque piccolo spunto o fatto quotidiano può costituire un grande mistero da risolvere: un puzzle come una valigia nera lasciata sulla soglia, un orologio come un pizzico di tabacco...
A chi si addicono: a chi non rinuncia al giallo nemmeno al Natale, e allora tanto vale unire le due cose!


Edward Lear, (Questo libro) non ha senso! (Nuova Editrice Berti, 132 pp.)
Una raccolta di 60 limerick inediti di Edward Lear, tratti dai suoi diari e documenti personali, corredati dai disegni dell'autore e con testo a fronte in inglese (qui ne puoi leggere uno con la nostra traduzione). Filastrocche piene di humour che possono divertire grandi e piccini.
A chi si addice: a chi apprezza il nonsense (e anche a chi ama la traduzione... che nel caso dei limerick è una vera sfida!).

Jack London, Hawaii: racconti, immagini e ricordi dalle isole del sole (Mattioli 1885, 123 pp.)
Jack London soggiornò varie volte alle Hawaii, soprattutto verso la fine della sua vita, irresistibilmente attratto dalla bellezza dei paesaggi, dal clima, dal calore della gente e dalla possibilità di praticare numerosi sport all'aria aperta. Questo volume raccoglie tre articoli, finora inediti in Italia, dedicati alla descrizione delle isole, due racconti a tema hawaiano ("Aloha Oe" e "Lo sceriffo di Kona") e un capitolo sul surf tratto da La crociera dello Snark, il tutto con note e postfazione a nostra cura.
A chi si addice: a chi ha visitato o vorrebbe visitare le Hawaii e a chi apprezza la vitalità e l'entusiasmo dello scrittore americano.

domenica 8 dicembre 2013

Se fossi il personaggio di un romanzo, chi saresti?

Assomigli di più alla piccola Scout de Il buio oltre la siepe oppure al dottor Watson, inseparabile compagno di investigazioni di Sherlock Holmes? Hai il coraggio e la determinazione di Mikael Blomkvist, protagonista della celebre saga di Stieg Larsson, oppure la spensieratezza della Emma di Jane Austen?

Per scoprirlo, prova il test Who in Fiction Are You? della Book Week Scotland e facci sapere se ti riconosci nel profilo che ti verrà fornito alla fine!
Noi l'abbiamo sperimentato: Francesca è Mma Ramotswe, investigatrice del Botswana creata da Alexander McCall Smith...



...mentre Alessandra è Holly Golightly di Colazione da Tiffany!




Grazie a Daniele Petruccioli che ha segnalato il test su Facebook!

lunedì 2 dicembre 2013

Vuoi conoscere la vita segreta delle parole?

L'uso che si fa delle parole cambia nel tempo, e questo lo sappiamo; ma forse non tutti sanno che esiste uno strumento di Google che permette di visualizzare su un grafico la frequenza d'uso di ciascun termine o stringa di termini nel tempo.

Lo strumento si chiama Ngram Viewer e, basandosi su 5 milioni di libri digitalizzati da Google, permette di fare scoperte interessanti.
Ad esempio, se confrontiamo alcuni mezzi di comunicazione molto usati, scopriamo che la parola "telex" è nata nel 1964 e ha raggiunto la massima diffusione verso il 1982, il termine "fax" è comparso per la prima volta sui testi italiani nel 1985 ed è ora in fase calante, mentre "e-mail" è nato intorno al 1993 e il suo uso si è recentemente stabilizzato. (Se non riesci a visualizzare il grafico sotto, clicca qui.)
Come si fa la ricerca?
Bisogna andare alla pagina di Ngram Viewer e inserire una o più parole o stringhe nell'apposita casella, separate da una virgola. Il sistema è "pignolo", nel senso che i nomi vanno scritti esattamente come sono stampati sui libri (quindi i nomi propri vanno con le lettere maiuscole, altrimenti Ngram Viewer non dà risultati). Si seleziona poi la lingua che ci interessa: inglese, spagnolo, francese, tedesco, italiano, cinese, ebraico.

Per noi traduttori letterari e per gli scrittori lo strumento può essere utile per evitare di utilizzare termini nati in epoche successive rispetto a quella che stiamo affrontando nel nostro libro.
Se per esempio dovesse saltarci in mente di inserire l'espressione "convergenze parallele" in un testo ambientato negli anni Venti, Ngram Viewer ci dissuaderebbe, informandoci che è nata intorno al 1956.

E se volete saperne di più su Ngram Viewer, leggete la pagina di istruzioni e guardate il video della TED Conference in cui due degli inventori ne illustrano le potenzialità con esempi divertenti.

domenica 24 novembre 2013

Marketing per traduttori editoriali

Come attirare un flusso costante di lavoro, possibilmente di nostro interesse ed equamente retribuito, nel campo della traduzione editoriale?

Questa è la domanda che ci siamo poste per diversi anni, soprattutto quando eravamo agli inizi come traduttrici editoriali.

'Dorpsomroeper / Town-crier' photo (c) 2009, Nationaal Archief - license: http://www.flickr.com/commons/usage/ Tra i vari canali che abbiamo battuto per diventare più visibili c'è il web: raccontiamo in dettaglio le azioni intraprese per promuovere la nostra attività nell'articolo "Pillole di (web) marketing per traduttori editoriali" pubblicato su Strade Magazine di questo mese.

E tu che cosa fai per farti conoscere come traduttrice o traduttore? Ogni spunto è benvenuto!

martedì 12 novembre 2013

Domande e risposte sulla traduzione editoriale: un'intervista

Dalla questione del "tradurre-tradire" all'approccio alla revisione, dalla visibilità del traduttore letterario al rapporto con l'autore, di questo e molto altro abbiamo parlato con lo Studio Garamond che ci ha intervistato di recente.

Domande e risposte si trovano qui.

Buona lettura e fateci avere i vostri commenti!

martedì 5 novembre 2013

I peccati dei traduttori letterari (parte II)

Tempo fa avevamo parlato dei "peccati" più diffusi tra i traduttori editoriali italiani (pignoleria, orgoglio e altri ancora) proponendo un quiz semiserio e poi analizzandone i risultati, ma c'è anche chi ha riflettuto sui peccati che si commettono affrontando il lavoro sul testo: quali sono gli errori di metodo che si possono fare traducendo un'opera letteraria?

Lydia Davis, traduttrice americana, ne ha individuati due riflettendo sulla propria traduzione di Madame Bovary in questo interessante articolo pubblicato sulla Paris Review.

copertina madame bovary

  1. Il primo peccato, secondo la Davis, consiste nel mettere in bocca a personaggi del passato termini o espressioni moderne, che hanno cominciato a circolare in epoca successiva a quella in cui è ambientato il romanzo. In una traduzione di Madame Bovary presa in esame dalla Davis, ad esempio, un personaggio che in teoria dovrebbe vivere nel 1830 esclama: "No way!", come farebbe un americano dei nostri giorni.
    L'esempio è estremo, ma il peccato è insidioso: ai traduttori letterari di oggi può infatti sfuggire che una certa parola o locuzione (ma non è certo il caso di "No way!"...) abbia iniziato la propria vita linguistica nel 1890 invece che nel 1830, visto che al nostro orecchio può suonare comunque arcaica.
  2. Il secondo peccato consiste nell'adeguarsi alle scelte traduttive dei precedenti traduttori di quel testo (o, aggiungiamo noi, a quelle dei traduttori di quel testo nelle altre lingue che conosciamo). Nel caso di opere molto note, infatti ci possiamo confrontare con una o più traduzioni attestate (in italiano e/o altre lingue a noi note) e può essere utile andare a scoprire quali scelte abbiano compiuto i nostri colleghi nei punti più difficili. Utile sì, ma anche pericoloso: non è detto che gli altri ci abbiano visto giusto, e allora ecco che può capitare di ripetere la scelta e perpetuare l'errore. 
Come comportarsi quando siamo tentati di cadere in uno di questi peccati? 

Nel primo caso, si può consultare Ngram Viewer, lo strumento di Google che riporta la "data di nascita" e la frequenza d'uso delle parole; nel secondo caso si tratta di riflettere sulla questione utilizzando anche gli strumenti online e consultando i colleghi su forum e liste e poi di fare con coraggio la propria scelta, anche se diversa da quella dei traduttori che ci hanno preceduto.

Tu che cosa ne pensi?


Una nota sull'immagine: nell'edizione americana il nome della traduttrice è in copertina. 
Anche in Italia potrebbe essere così: l'art. 33 del Regio decreto n. 1369/42, che costituisce il regolamento per l’esecuzione della Legge sul diritto d’autore italiana, dà agli editori l'alternativa tra pubblicare il nome del traduttore in copertina oppure sul frontespizio. Ogni altra collocazione (ad esempio nel colophon, come spesso accade) è in contrasto con la legge: tienilo presente al momento di firmare il contratto e di rivedere le bozze. 

lunedì 28 ottobre 2013

Perché per le traduzioni è meglio ingaggiare un professionista...

Ecco una serie di cartelli, insegne e menu con traduzioni in inglese più o meno esilaranti: dopo averlo visto potrete provare anche voi un piatto chiamato "The fragrant spring onion explodes the cow"!


 

Se l'argomento ti interessa, leggi anche questo post, con altri esempi di esilaranti (o deprimenti) traduzioni in inglese...

lunedì 21 ottobre 2013

Perché è difficile consigliare un libro...

Ogni tanto capita di sentirsi dire: "Non so più cosa leggere, tu che libro mi consigli?".

La risposta è difficile, e allora si prova a sondare i gusti della persona per cercare di capire il genere letterario che le può interessare, per poi azzardare il nome di qualche autore che forse, chissà, magari le potrebbe piacere...

Ma spesso è un tentativo inutile: quando si riparla con l'amico si scopre di avergli fatto perdere tempo e soldi e magari ci sentiamo anche in colpa.

Il punto è, come sosteneva José Saramago (qui il testo in portoghese), che per scegliere i libri da leggere bisogna definire la propria "famiglia dello spirito letteraria" e che noi non possiamo farlo al posto di un altro.

'Our family library' photo (c) 2010, Philippe Teuwen - license: http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/ Dopo aver letto la sua riflessione ci siamo chieste quale metodo seguiamo per scegliere i libri su cui poi ci tuffiamo con tanto slancio e ci siamo rese conto che in effetti le nostre letture seguono filoni che si intrecciano profondamente con le fasi della nostra vita e con i percorsi di approfondimento e conoscenza che ci stanno più a cuore.

Se il libro consigliato non si inserisce nel percorso che stiamo seguendo in quel momento, per quanto sia buono lo abbandoniamo dopo qualche decina di pagine (per poi riprenderlo, magari, dopo qualche mese o anno)... proprio come ha fatto il nostro amico che chiedeva un suggerimento a noi.

Tu che cosa ne pensi? E che cosa rispondi a chi ti chiede consigli?

Se l'argomento ti interessa, leggi anche "Come sapere se un libro ti piacerà".

lunedì 14 ottobre 2013

Come tradurre il dialetto? Il caso Montalbano

Nell'ultima settimana ci siamo date alla lettura accanita dei libri di Andrea Camilleri dedicati all'ispettore Montalbano e siamo rimaste molto colpite dall'uso che lo scrittore fa dell'italiano e del dialetto siciliano. Da traduttrici, il nostro pensiero è andato subito alla fatica dei colleghi stranieri che hanno tradotto i libri di Camilleri, molto letti anche all'estero.

I romanzi, infatti, contengono almeno quattro tipi di lingua.
Innanzitutto ci sono (1) pochissimi brani scritti interamente in italiano, lingua che Camilleri utilizza ad esempio quando affronta temi sociali che gli stanno a cuore e che vuole rendere perfettamente comprensibili a tutti i lettori.
La narrazione è condotta per lo più in un italiano misto a dialetto siciliano (2), come si vede dall'incipit de Il ladro di merendine:

"S'arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafàto, gli si erano strettamente arravugliate torno torno il corpo, gli parse di essere diventato una mummia."

(E tutti  sudati dovevano essere anche i traduttori stranieri quando hanno attaccato questa frase.)


Le difficoltà di traduzione, però, non sono finite qui: ci sono anche frasi, soprattutto la parlata di personaggi di estrazione popolare e i proverbi, interamente in siciliano come "Futtiri addritta e caminari na rina / portanu l'omu a la ruvina" (3).
C'è poi la lingua parlata da Catarella (l'attendente di Montalbano), un misto di siciliano e italiano storpiato (4):

"Il signor Quistore ha fatto vinìri di Roma un granni e grannissimo crimininilologo ca ci deve fare la lizioni".

Come rendere tutta questa varietà e complessità in una lingua straniera?
Se toccasse a noi un'impresa del genere, cercheremmo in linea di massima di costruire stili diversi corrispondenti a quelli citati sopra e per tradurre il siciliano inseriremmo nel testo qualche parola italiana tra le più note o comprensibili nella lingua d'arrivo, forse anche lo slang usato dagli immigrati italiani in quel paese o eventualmente parole pronunciate in modo storpiato come farebbe un italiano.
Questo in teoria; in pratica non è affatto facile, perché è improbabile che i termini italiani o di derivazione italiana utilizzati, mettiamo, in Gran Bretagna, siano così tanti da consentirci di svolgere quest'operazione in maniera scientifica tutte le volte che Camilleri l'ha compiuta nei suoi romanzi.
Bisognerebbe trovare strategie ulteriori per rendere gli stili distinguibili tra di loro e restituire il più possibile la sicilianità (o quantomeno l'italianità) che caratterizza il testo.

Tu quali strategie useresti?

Se vuoi scoprire quelle adottate dai traduttori di Francia, Germania, Portogallo, Finlandia, Turchia, Giappone, Danimarca e Olanda, clicca qui. Per saperne di più leggi anche: l'articolo di Repubblica intitolato "Tradurre Montalbano nello slang del Bronx", il punto n. 3 dell'intervista al traduttore norvegese di Camilleri, Jon Rognlien, che illustra bene le difficoltà di traduzione e l'articolo del Corriere su "Montalbano tradito in Spagna".
In questa pagina trovi invece un glossario della lingua di Camilleri e qui un'analisi dell'uso della lingua nei romanzi di Montalbano con esempi tratti dai libri.

lunedì 30 settembre 2013

6 cose da fare per non annoiare i lettori

Devi scrivere un documento, i testi per un sito internet, un articolo, un saggio e hai paura che nessuno ti legga? O, peggio ancora, che ti leggano sbuffando e sbadigliando?
Non sei sola/o, anzi: è un problema molto diffuso.

Visto che una parte del nostro lavoro ha a che fare con la scrittura, ci siamo sempre poste il problema di fare in modo che i nostri testi risultassero prima di tutto leggibili e se possibile anche interessanti e utili per i lettori.

'Write till you drop!' photo (c) 2008, Nenyaki - license: http://creativecommons.org/licenses/by-nd/2.0/

Con il tempo abbiamo elaborato delle regole che ci guidano e che non ci era venuto in mente di esplicitare finché non abbiamo letto i  "25 comandamenti per giornalisti" di Tim Radford, uno storico collaboratore del Guardian (leggi anche l'originale inglese) e il divertente pezzo "Come scrivere bene" di Umberto Eco.

Questi articoli ci hanno stimolato a mettere per iscritto quello che cerchiamo di fare quando scriviamo. Ecco quindi i nostri 6 accorgimenti per non annoiare i lettori:
  1. Le persone spesso non hanno tempo né voglia di leggere il pezzo che hai scritto: se vuoi che lo facciano, devi metterti nei loro panni e sforzarti di parlare proprio a loro, di rispondere ai loro bisogni o curiosità. Se non hai la certezza che l'argomento le interessi davvero (perché magari è un po' astratto), cerca almeno di agganciarti a ciò che conoscono, al loro mondo quotidiano, alla loro esperienza. Parti da un dettaglio concreto, da qualcosa che tutti hanno in mente. Stai scrivendo per i vivi: anche il testo dovrebbe esserlo.

  2. Non farla troppo lunga: di' quello che hai da dire con le parole che servono, senza ripetere più volte i concetti e senza gonfiare le frasi con aggettivi e avverbi inutili. A questo proposito, pare che il direttore di un giornale svizzero abbia detto a un neoassunto: "Si ricordi che ogni frase ha il soggetto, il predicato verbale e il complemento oggetto. Punto. Se vuole usare un aggettivo venga prima nel mio ufficio e mi chieda il permesso". 

  3. Quando i lettori trovano il testo poco chiaro, è più probabile che lo abbandonino. Se ti accorgi che il testo è confuso, perché i concetti sono esposti nell'ordine sbagliato o le frasi sono contorte (e la prima bozza è sempre un po' confusa), respira, rifletti e chiarisciti le idee. Poi lima, taglia, riscrivi e vedrai che il messaggio ne guadagnerà.  

  4. Se il pezzo a cui stai lavorando è breve (ad esempio un post, un articolo o il paragrafo di un libro), limitati a un concetto o al massimo due: non devi metterci per forza tutte le idee che ti vengono in mente. Potranno diventare l'oggetto del prossimo paragrafo.

  5. Scrivere bene richiede un sacco di tempo: dopo aver buttato giù una bozza, bisogna lasciarla decantare un po' e poi correggerla, tagliando e riscrivendo in base agli accorgimenti forniti sopra. Se il tempo è poco si può scrivere ugualmente, ma può darsi che il risultato non sia dei migliori.  

  6. Se stai lavorando a un testo importante, è una buona idea farlo rileggere almeno a un'altra persona prima di diffonderlo: un altro paio d'occhi coglierà quello che, ormai assuefatta/o alle tue stesse parole, potresti aver perso di vista. 
E tu, che accorgimenti usi per non annoiare i lettori?


Se l'argomento ti interessa, leggi anche il post dedicato a chi ha il terrore della pagina bianca.

lunedì 23 settembre 2013

Come farsi prestare e-book e e-reader gratis

Vuoi provare l'e-reader?
Se vuoi sperimentare gratuitamente la lettura digitale, chiedi alla biblioteca comunale più vicina a casa tua: è probabile che possa prestarti un lettore. Diciamo "è probabile" perché purtroppo pare che non ci sia una lista di tutte le biblioteche che offrono questo servizio; di sicuro però stanno aumentando, quindi non resta che chiedere in quella che ti è più comoda e scoprirlo di persona.

Noi lo abbiamo fatto, e questa è la nostra esperienza. Ci siamo rivolte alla biblioteca San Giorgio di Pistoia, di cui siamo utenti affezionate, e abbiamo preso in prestito un e-reader Cybook Odissey. Arrivate a casa abbiamo visto che vi erano stati caricati circa un centinaio di e-book, per lo più di manualistica; i romanzi erano pochi e quasi tutti protetti (ad esempio quelli di Sellerio), quindi non leggibili. Però siamo riuscite a leggere il romanzo di Jonathan Lethem Chronic City (trad. it.Gianni Pannofino, Il Saggiatore 2011) e a restituire l'e-reader entro due settimane come richiesto dalla biblioteca (ma in altri posti il prestito dura un mese).

Se hai già un e-reader, presso le 3000 biblioteche italiane che aderiscono a Media Library OnLine (a p. 2 di questo documento puoi scoprire quali sono) puoi prendere in prestito non solo e-book, ma anche altri contenuti digitali: quotidiani, musica, audiolibri, video, e accedere a banche dati.

media library online

Abbiamo provato anche questo servizio gratuito presso la biblioteca San Giorgio: basta richiedere nome utente e password per poi collegarsi da casa al sito di Media Library OnLine. A quel punto si può usufruire delle risorse messe a disposizione dalla propria biblioteca: noi abbiamo accesso a 46 quotidiani, 50 filmati, 49 banche dati e 25.598 e-book. Possiamo sfogliare ogni giorno i principali giornali italiani e stranieri, guardare qualche vecchio film in streaming e accedere a banche dati come l'archivio immagini Alinari o le Teche Rai.

Per quanto riguarda gli e-book, il numero è notevole ma, purtroppo, non include le novità: si tratta infatti di testi fuori diritti (o perché gli autori sono morti da più di 70 anni oppure perché chi li ha scritti ha deciso di metterli a disposizione di tutti) che sono reperibili gratuitamente su siti come Gutenberg o Liber Liber.
Se però sei interessata/o al prestito di e-book commerciali, non scoraggiarti: ogni biblioteca offre risorse diverse e, se quella della tua città non ha le ultime novità digitali, forse puoi trovarle in un'altra biblioteca dei dintorni. Peccato che, anche in questo caso, non sia disponibile una lista...

Se vuoi scaricare gli e-book a costo zero di Amazon, leggi anche il post "Come scaricare 36.000 e-book gratuiti da Amazon (e leggerli senza Kindle)"; altri siti che offrono e-book sono segnalati in "Scaricare e-book gratis? Ecco i siti per farlo (legalmente)". 

lunedì 16 settembre 2013

Test: trova la tua cittadinanza interiore

Le tue posizioni rispetto a politica, religione, lavoro, scelte di vita sono allineate con la media italiana oppure dentro di te sei svedese?

Per scoprirlo, prova questo test (anonimo, in inglese) basato sui risultati dello European Values Study e facci sapere i risultati! Per quanto ci riguarda, siamo islandesi (e guarda caso il prossimo paese che avevamo intenzione di visitare è proprio l'Islanda... corriamo a comprare i biglietti!).

Grazie a Isa Zani che ha segnalato il test!

lunedì 9 settembre 2013

Il fattore è sovrappeso o di un certo peso? La traduzione di parole polisemiche

Una delle tante difficoltà che si presentano quando si traduce è data dalle parole polisemiche, quelle che hanno più significati etimologicamente correlati tra loro, come "fattore". Questa parola, infatti, indica (tra le altre cose) sia la "persona che gestisce una fattoria" sia un "elemento che contribuisce a determinare un dato effetto".

Di solito di fronte alle parole polisemiche i traduttori si basano sul contesto per scegliere il traducente più adatto: se in un testo leggiamo la frase “un fattore di un certo peso”, immaginiamo che chi scrive si riferisca all'elemento principale di una determinata questione, perché se avesse parlato di una persona che dirige una fattoria probabilmente l’avrebbe definita in un altro modo, ad esempio “un fattore sovrappeso”.

la casa delle odi-neruda

Certe volte, però, la questione si fa più complicata. Ci siamo imbattute in un caso di polisemia abbastanza complesso traducendo una delle Odas elementales di Neruda, la "Oda a la naranja", per il volume La casa delle odi (Motta Junior 2012). In questa poesia il poeta accosta il paesaggio cileno a un’arancia: Patria / mía, / amarilla / cabellera, / espada del otoño, / cuando / a tu luz / retorno, / a la desierta / zona / del salitre lunario, / a las aristas / desgarradoras / del metal andino...

Il vocabolo (molto) polisemico che ci ha messe alla prova è stato arista.
L’arista in spagnolo è almeno cinque cose diverse, che per lo più in italiano non vengono definite con una sola parola, ma con una perifrasi:

mercoledì 4 settembre 2013

Cartelli... per soli uomini

I cartelli stradali si rivolgono a tutti o immaginano un mondo popolato soltanto da uomini?

Ce lo siamo chieste qualche mese fa riflettendo sulle poche strade e piazze dedicate alle donne in Italia: solo l'8% del totale, il che fa pensare che nella storia, nelle arti e anche in tutti gli altri campi siano esistiti ed esistano soltanto gli uomini, escludendo metà della popolazione.

Dopo queste riflessioni, quando a Milano ci siamo imbattute in questo cartello non abbiamo potuto fare a meno di fotografarlo:

a passo d'uomo e di donna

Chi ha modificato il cartello lo ha fatto perché fosse capace di rivolgersi a tutti; la nostra lingua, infatti, in certi casi può essere usata in maniera sessista, ad esempio indicando gli "esseri umani" o le "persone" con la parola "uomini".

Nella stessa categoria di usi sessisti ricade anche "a passo d'uomo": certo, è una locuzione comune, ma non si potrebbe adottare una formula diversa che non escluda nessuno, ad esempio "Tram a 5 km/h"?

Nella pubblica amministrazione qualcuno ci ha già pensato, redigendo dei memorandum per un uso non sessista della lingua nei documenti pubblici:


Se questo argomento ti interessa, leggi anche "Una lingua per le donne", dove parliamo di termini come "ministro" e "avvocato", per lo più usati al maschile anche quando sono riferiti a una donna.
La foto è di Alessandra.

domenica 18 agosto 2013

Come sapere se un libro ti piacerà?

In estate di solito si riesce a leggere più che negli altri periodi dell'anno e si parte per le vacanze carichi di libri che magari ci sono stati consigliati o di cui abbiamo letto un'entusiastica recensione di 5 righe. Alcuni sono belle scoperte, altri una delusione.

Come fare per avere un'idea più precisa del libro che ci accompagnerà in vacanza?
Si può consultare Goodreads, un sito che permette, anche senza iscriversi, di leggere sinossi e recensioni molto dettagliate di tantissimi libri italiani e stranieri inserendone il titolo o l'autore nella casella di ricerca posizionata a metà della home page.

goodreads logo

Per ogni libro si trova il voto medio su una scala da uno a cinque, una breve presentazione e poi tantissime recensioni dei lettori in inglese, italiano e molte altre lingue, che possono aiutarci a capire se quello è il romanzo che fa per noi (gli iscritti a Goodreads sono 20 milioni in tutto il mondo e hanno prodotto finora 24 milioni di recensioni). Iscrivendosi al sito è inoltre possibile votare il libro e pubblicare la propria recensione.

Buone letture a tutti!

domenica 11 agosto 2013

4 regole d'oro per catalogare i libri di casa

Organizzare i propri libri, soprattutto se sono tanti, può essere un'impresa che richiede tempo e impegno.

Con l'esperienza (e un paio di traslochi!) abbiamo affinato le nostre regole d'oro per catalogare la biblioteca di casa e, visto che in estate c'è più tempo da dedicare ad attività di questo tipo, ve le proponiamo.

'Equilibrium Bookcase' photo (c) 2010, Joe Wolf - license: http://creativecommons.org/licenses/by-nd/2.0/
  1. Se hai un libro, ma non lo trovi, è come non averlo: magari ti capita di ricomprarlo e poi, dopo qualche tempo, di veder riemergere dai recessi di qualche scaffale la copia più vecchia. Per evitare di perdere i tuoi preziosi volumi e di acquistare doppioni, devi archiviare i volumi in modo che sia possibile trovarli al primo colpo.
  2. L'ordine da dare ai libri è personale, basta che ne esista uno. Noi ad esempio adottiamo l'ordine alfabetico per autore all'interno delle varie sezioni (letteratura italiana, letteratura inglese e americana, letteratura spagnola ecc.; filosofia, storia dell'arte ecc.).
  3. Se ami i libri, ne hai tanti e ti ritrovi a un mercatino dell'usato, è facile che ti assalga la tentazione di comprarne un altro. Ma non sempre ti ricordi se ce l'hai già oppure no. In questo caso è utile realizzare un archivio su file da tenere sul cellulare, in modo da poterlo consultare quando il dubbio ti coglie. Noi abbiamo creato dei semplici file di Word, suddivisi in base alle sezioni della nostra biblioteca, e li abbiamo salvati sullo smartphone, pronti all'uso.
  4. Se hai tanti libri e continui a comprarne, presto esaurirai lo spazio sugli scaffali. A quel punto puoi fare almeno quattro cose: 
  • aggiungere un sopralzo alla libreria, se l'altezza del soffitto lo consente. Con le Billy dell'Ikea esistono sopralzi già pronti. E se hai ancora spazio da sfruttare, in cima al sopralzo puoi mettere dei fermalibri e aggiungere una fila ulteriore di volumi.
  • comprare librerie nuove (non esistono solo le Billy, ci sono anche librerie molto originali, e librerie fatte di libri!)
  • mettere i libri su due file (ma impazzirai quando dovrai consultare quelli della seconda fila, perciò lo sconsigliamo, a meno di realizzare un piccolo rialzo per la fila dietro che ti permetta di vedere parte del dorso dei libri)
  • fare una selezione e regalare o vendere i libri che ti interessano meno. Noi ultimamente optiamo per quest'ultima soluzione cercando di tenere solo i romanzi e i saggi più importanti per noi.
Quali sono le tue regole d'oro?


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martedì 6 agosto 2013

Sulle orme di Joyce a Trieste

"La mia anima è a Trieste", scrisse Joyce alla moglie Nora nel 1909.
Così, dopo il viaggio in Inghilterra nei luoghi di Virginia Woolf e la puntata in Irlanda, a Sligo, sulle tracce di Yeats, quest'anno abbiamo deciso di visitare Trieste, città in cui James Joyce visse tra il 1904 e il 1919, e siamo andate alla scoperta delle molte case che lo scrittore prese in affitto e dei posti che frequentò.

L'itinerario parte dal piccolo Museo Joyce collocato all'interno della biblioteca civica di via Madonna del Mare 13: qui si può visionare un video in inglese che ripercorre gli anni di Joyce a Trieste e mostra foto d'epoca della città.
logo Joyce Museum Trieste

Alle pareti si trovano inoltre le riproduzioni di lettere che testimoniano il legame tra Joyce e lo scrittore triestino Italo Svevo.

cartoline riprodotte al museo Joyce

La biblioteca-museo raccoglie inoltre numerose opere di e su James Joyce.

L'itinerario joyciano prosegue poi alla scoperta delle 9 case che lo scrittore affittò nei suoi anni triestini, tutte in pieno centro storico o nelle immediate vicinanze: da via Bramante a via San Nicolò, dove si trovava anche la Berlitz School in cui Joyce insegnò dal 1905 al 1907. Non può mancare poi una sosta alla vecchia sede del quotidiano triestino Il Piccolo (piazza Goldoni), che pubblicò alcuni articoli dello scrittore dedicati alla situazione irlandese.

sede del Piccolo a Trieste


Infine, è possibile imbattersi in Joyce sul Canal Grande triestino: la statua realizzata da Nino Spagnoli fu collocata sul Ponte Rosso nel 2004, in occasione del centenario dell'arrivo di Joyce in città.

statua James Joyce a Trieste

Se l'argomento ti interessa, leggi anche l'itinerario joyciano dettagliato proposto dal Museo Joyce.
Le foto sono di Alessandra.

lunedì 24 giugno 2013

Come andare a capo senza errori

Vi ricordate ancora le regole della divisione in sillabe imparate alle elementari?
A volte (ad esempio quando si correggono le bozze di un libro) la memoria può tradire e può capitare di essere colti dai dubbi. Ad esempio: come si divide "aiuola"? (La risposta è in fondo al post!)

Se poi la parola mandata a capo è in una lingua straniera, la faccenda si complica ulteriormente.

sega circolare

Ecco qua alcune risorse utili per togliersi ogni dubbio in varie lingue:
  • per l'italiano, il dizionario Sabatini Coletti del Corriere della Sera riporta la divisione in sillabe di ogni lemma e questa pagina della Treccani permette di ripassare le regole per andare a capo;
  • per l'inglese si può consultare il Merriam Webster che mostra la divisione in sillabe (usando il puntino come separatore tra le sillabe);
  • per lo spagnolo esiste SM Diccionarios;
  • per il tedesco, visitate il Free Dictionary;
  • per il francese abbiamo trovato solo Wiktionnaire, il dizionario monolingue di Wikipedia, che però fornisce la suddivisione fonetica della parola, non sempre identica a quella sillabica (come potete leggere nel commento sotto); anche qui il puntino funge da separatore. Per andare sul sicuro con il francese, conviene studiare le regole che si trovano qui oppure qui.

(La suddivisione giusta è a-iuo-la perché "iuo" è un trittongo.)

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La foto è di Let Ideas Compete e si trova qui.

lunedì 17 giugno 2013

Test: quanto sei pignola/o con le parole?

La settimana scorsa abbiamo parlato della deformazione professionale che porta tutti noi che lavoriamo con le parole a individuare immediatamente i refusi nelle comunicazioni scritte in cui ci imbattiamo, dalle insegne dei negozi ai menu dei ristoranti, per non dire dei libri, come se avessimo sempre sottomano una penna rossa pronta a entrare in azione.

Ci sono però gradi diversi di pignoleria: per permettervi di valutare a che punto siete, abbiamo elaborato questo test: buon divertimento!


Test: quanto sei pignola/o con le parole?

1. Cammini per strada e vedi un cartello giallo che dice: "Attenzione, carichi sopesi". Qual è la tua prima reazione:

a) Alzi la testa per vedere dov'è il pericolo

b) Alzi la testa ma non si vede niente, allora rileggi il cartello e sorridi sul refuso.
c) Vai difilato al cartello con un pennarellone nero, aggiungi la "s" mancante e in un angolo scrivi: "Attenti all'ortografia, cavolo!", mentre il carico sospeso si schianta fragorosamente alle tue spalle.


2. In una vetrina scopri un paio di pantaloni che sembrano fatti per te. Non avevi mai visto prima quel negozio, dev'essere nuovo: si chiama "New Sensescion". Che cosa fai?

a) E che devi fare, entri e chiedi di provare i pantaloni.

b) Entri, provi i pantaloni e, chiacchierando con il titolare del negozio, cerchi di scoprire come diavolo gli è venuto in mente un nome simile.
c) Entri come una furia, prendi per il collo il titolare e gli urli in faccia: "Ma perché non ha aperto uno straccio di dizionario prima di scrivere quell'obbrobrio di insegna, perché??? Bastava anche solo una ricerca su Internet, porca miseria, siamo nel XXI secolo, non se n'è accorto???". Poi te ne vai affranta/o, mentre in lontananza si sente una sirena. (E i pantaloni li comprerai da un'altra parte.) 


3. Stai leggendo un libro tradotto dall'inglese e trovi questa frase: "Decise di pagare una visita al suo amico. Non appena lo vide, notò che i suoi sguardi erano diversi dal solito". Che cosa fai?

a) Continui a leggere.

b) Pensi: "In questa frase c'è qualcosa che non va".
c) Scagli il libro dalla finestra urlando in preda alle convulsioni. 


4. Stai assistendo a una conferenza e la persona che parla insiste a dire "pérformance" e "manàgement" (con la "g" alla francese). Che cosa fai?

a) Niente, che devo fare?

b) Ogni volta che senti quelle parole ti sale un brivido lungo la schiena.
c) Appena concluso l'intervento chiedi il microfono e parti con uno sproloquio sulla corretta pronuncia. Quando dopo 10 minuti cercano di toglierti la parola, li insulti chiamandoli "pendagli da forca" e ti metti a scalciare, finché non ti portano via con la camicia di forza. 


Punteggi: per tutte le domande,

a = 1
b = 2
c = 3


Profili


Fino a 6 punti

Sei attenta/o più che altro alla sostanza delle cose, non tanto alla loro forma. Questo ti risparmia diversi grattacapi (ma non se lavori in editoria!). Hai tutta la nostra invidia...

Da 7 a 9 punti

Mostri segni evidenti di deformazione professionale: non sarà che lavori in campo editoriale, nel giornalismo, nella comunicazione o simili? Se non è così, forse dovresti farci un pensierino...

Da 10 a 12 punti 

Presenti tutti i sintomi di squilibrio che colpiscono chi lavora da tempo e a tempo pieno nel settore editoriale. Questo fa di te una persona poco raccomandabile, ma un'ottima professionista! 


Se l'argomento ti interessa, leggi anche questo racconto sulle insegne di negozi con refusi e questo post sullo stesso argomento, e se trovi in giro cartelli improbabili, inviaci le foto: le pubblicheremo! 

giovedì 13 giugno 2013

Deformazioni professionali di traduttori e revisori

Quando si fa una traduzione editoriale o una revisione, il nostro diventa il mestiere del dubbio: "Questa parola è usata nel testo con l'accezione x, y o z? Va bene come l'ho tradotta oppure è meglio cambiare traducente? Quale di questi si avvicina di più alle intenzioni dell'autore?" e via dubitando.

E non ci limitiamo a farci domande sulla semantica: entriamo anche nel merito dei fatti, soprattutto quando abbiamo a che fare con la saggistica: "L'autore sostiene che l'occitano è una lingua morta, ma sarà vero?", ci chiediamo. A quel punto facciamo una verifica e scopriamo che ci sono ancora tre milioni di persone che lo parlano, quindi è il caso di inserire una nota per la redazione che dovrà poi decidere se e come correggere il testo. (Per un approfondimento sugli strumenti online da consultare per fare le verifiche, leggete il post "A caccia di errori con le enciclopedie online".)

professore pignolo

Controlliamo non solo il significato di ogni parola, ma anche ogni data, informazione, fatto storico non tanto (o non solo) perché siamo maniache, ma perché ci serve per capire meglio quello che stiamo traducendo e perché segnalando le eventuali imprecisioni possiamo offrire un servizio migliore al lettore.

Questa attitudine al dubbio è diventata una tale deformazione professionale che ormai, quando leggiamo qualcosa nel tempo libero, non passa molto tempo prima che una delle due dica: "Sono solo a pagina 15 e ho già trovato 3 refusi, uffi!" oppure che, scorrendo il menu al ristorante, ci si concentri più sul fatto che la creme brulee sia scritta senza accenti che sulla possibilità di ordinarla. E, se lavorate con le parole, è molto probabile che la stessa cosa capiti anche a voi.

Raccontateci in che modo vi succede: situazioni, aneddoti e storie che illustrino le deformazioni professionali di traduttori editoriali e revisori.
Noi intanto stiamo preparando un test che vi permetterà di valutare il vostro livello di pignoleria di fronte alle parole scritte: lo troverete sul blog la prossima settimana!

L'immagine è un'elaborazione di OCAL reperibile su Clker.

mercoledì 5 giugno 2013

Hai mai cambiato il tuo accento regionale?

In questi giorni riflettevamo sulla nostra esperienza di "espatriate" in patria: Francesca, che è toscana, ha vissuto per alcuni anni a Milano e adesso Alessandra, che è milanese, vive in Toscana.

In queste nostre permanenze in regioni diverse dal quella in cui siamo nate, ci siamo accorte di aver perso qualcosa del nostro accento regionale di origine e di avere acquistato qualcos'altro che prima non c'era.

Così alla fine ci siamo domandate: qual è il nucleo davvero irrinunciabile dell'accento? Qual è la parte che non cambia nemmeno vivendo per anni altrove?

speaker alla radio

Dopo averne discusso per un po', abbiamo stilato la nostra classifica degli elementi della pronuncia che possono cambiare, dal più facile al più difficile:
  1. La prima cosa che cambia, almeno un po', è l'intonazione: si acquisisce in parte la "musica" locale o quantomeno si perde quella d'origine.
  2. La seconda cosa a cui si può rinunciare è la pronuncia delle consonanti: se Francesca a Milano si mangiava di meno le "c" e le "t" toscane, Alessandra in Toscana ha iniziato a farlo (qualche volta senza nemmeno rendersene conto!).
  3. L'elemento più tenace, più difficile da cambiare, è dato dalle vocali: a Milano si dice "biciclètta" (con la "e" aperta), in Toscana "biciclétta" e in entrambi i casi pare impossibile poter fare altrimenti... anche dopo anni di permanenza in mezzo a persone che quella vocale la pronunciano diversamente da noi.
E voi, avete mai cambiato il vostro accento regionale? Se sì, fino a che punto?

Se l'argomento vi interessa, leggete anche questo documento sulla fonetica dialettale e questo articolo della Treccani sull'italiano regionale.
La foto rappresenta Jean Stecker Weil e Louis Goldstein negli studi della ABC ed è tratta da Flickr.


lunedì 20 maggio 2013

Dattilografia per principianti ed esperti

Se passate le giornate a scrivere al computer e lo fate con gli occhi sulla tastiera e usando gli indici, può esservi utile saper dattilografare con tutte e dieci le dita senza guardare i tasti, in modo da far andare le mani al ritmo del pensiero.
Esiste un programma gratuito che permette di imparare la dattilografia e che si può scaricare online: TutoreDattilo. Il software è in italiano, ha un livello per principianti e uno per esperti e diversi tipi di esercizi e giochi per imparare.

macchina da scrivere

Se invece siete già dattilografi esperti, potete divertirvi a misurare la vostra velocità e precisione di battitura sul sito 10 Fast Fingers: la pagina mostra una serie di parole da copiare e, non appena iniziate, il timer fa partire il conto alla rovescia da 60 secondi a zero. Scaduto il tempo, ecco i risultati: numero di parole al minuto, caratteri battuti, errori di digitazione. Eseguendo il test a distanza di tempo si possono misurare i propri progressi e, per chi ama la competizione, si possono organizzare gare di velocità con gli amici.

E per finire, una curiosità: vi siete mai accorti che le vostre dita si accorgono degli errori di battitura? Può anche darsi che gli occhi non li notino, ma di certo non sfuggono alle mani.
Lo racconta questo articolo pubblicato sulla rivista Science: dattilografi esperti sono stati sottoposti a test di battitura in cui alcuni errori venivano corretti a loro insaputa, mentre in altre parole scritte correttamente venivano inseriti refusi. Se i trucchi dei ricercatori ingannavano i soggetti sul piano cognitivo, non riuscivano però a raggirare le loro mani: dopo aver commesso un errore, difatti, le dita rallentavano sempre, cosa che non accadeva quando il testo battuto era corretto.

L'immagine è di hanna ghermay.

lunedì 13 maggio 2013

Come trovare le rime giuste

Se vi è mai capitato di tradurre o scrivere poesie e filastrocche o di comporre canzoni, forse vi siete ritrovati con una rima sulla punta della lingua che si rifiutava ostinatamente di uscire. In questi casi è molto utile avere sotto mano un rimario.

Su Internet se ne trovano diversi, ma in genere hanno il difetto di elencare le parole tutte in fila senza distinguere tra nomi, aggettivi e verbi, cosa che a volte risulta piuttosto utile. Il rimario di Virgilio.it risolve questo problema fornendo i risultati suddivisi per categoria grammaticale: basta inserire la parola che vogliamo rimare e cliccare su "Trova". Il suo difetto è che, se i risultati sono tanti, saranno mostrati solo i primi in ordine alfabetico, perciò la ricerca risulterà incompleta.

Wordle: fa rima con

Altre volte può far comodo che la nostra rima abbia un dato numero di sillabe, ad esempio quando stiamo utilizzando una metrica fissa: in questo caso si può consultare Rimador, selezionare la lingua, inserire solo le ultime lettere da rimare, cliccare su "Cerca rime" e poi su "Vedi sillabe in una riga". Così facendo il sito suddividerà le parole trovate in base al numero di sillabe.

Se per caso vi fossero utili le rime con i nomi di località italiane, potete visitare Rima-con, tenendo presente che i risultati non vengono suddivisi in categorie di alcun tipo.

Un difetto comune a tutti i rimari che abbiamo consultato è che non tengono conto del punto in cui cade l'accento della parola, ma solo delle ultime lettere che la compongono: stando a questi siti, ad esempio, amore fa rima con femore, mentre in realtà la prima parola è piana e la seconda, sdrucciola.

E se state scrivendo o traducendo in una lingua straniera? Rimador offre il servizio anche in inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese e altre lingue, così come Rimas.

Buone rime a tutti!

L'immagine è stata creata con Wordle.

lunedì 6 maggio 2013

"Via": sostantivo singolare. Femminile?

In quale via abiti?

Siamo pronte a scommettere che la tua via è intitolata a un uomo, come quasi tutte quelle d'Italia.
Per quanto ci riguarda, ad esempio, tolte le strade dedicate a località (ponti, montagne, isole e città) abbiamo vissuto in via Pietro Toselli, via Riccardo Zandonai, via Ferdinando Paoletti, via del Caravaggio, piazza sant'Agostino e via Pellegrino Tibaldi, ma mai in una strada con un nome di donna.

Su 100 vie d'Italia, infatti, in media soltanto 8 sono intitolate a donne: se passeggiamo per la città guardando i cartelli, ci ritroviamo circondati da una serie di uomini più o meno illustri (sfidiamo qualcuno a dirci chi fosse Ferdinando Paoletti... no, cercare su Internet non vale!), ma sempre e solo uomini.

cartello area pedonale

Le poche donne presenti sono per lo più sante, Madonne, religiose o benefattrici, ma solo raramente esponenti del mondo culturale o politico, come se nessuna donna avesse mai scritto un libro, contribuito al progresso scientifico o ricoperto degnamente una carica pubblica.

La cosa è talmente scontata che nemmeno ce ne accorgiamo, e neppure noi ci avevamo fatto caso: per rendercene conto abbiamo dovuto partecipare a un intervento del gruppo Toponomastica femminile all'interno della rassegna Leggere la città.

Poiché anche i nomi di strade e piazze contribuiscono a creare la nostra cultura, definendo quali siano le figure degne di essere ricordate, il gruppo Toponomastica femminile chiede alle giunte comunali di tutta Italia di dedicare i luoghi pubblici alle donne per compensare il sessismo della toponomastica attuale. Leggi le sue proposte sul sito.

Il cartello riprodotto sopra si usa in Germania nelle aree pedonali; sul cartello italiano si vede invece la figura di un uomo.
Se l'argomento ti interessa, ti segnaliamo anche il post "Una lingua per le donne".

venerdì 19 aprile 2013

Quanto guadagnano i traduttori editoriali? I risultati dell'inchiesta

Ricordate l'inchiesta di Biblit sulle tariffe dei traduttori editoriali di cui avevamo dato notizia nel post intitolato "Quanto guadagnano i traduttori editoriali"?

I risultati sono adesso disponibili sul sito di Biblit, cliccando su "Inchiesta tariffe".

Saranno presentati il 23 aprile in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d'autore a Roma, presso la Casa delle traduzioni. Buon incontro a tutti!

indagine sui traduttori editoriali

lunedì 15 aprile 2013

Test: che typo sei?

Come gli esseri umani, anche i caratteri tipografici hanno una loro personalità, non c'è dubbio: la distinzione fondamentale in tipografia è tra quelli con le  "grazie", ossia quei piccoli prolungamenti inseriti all'estremità delle lettere a mo' di decorazione (in inglese detti serif), come il classico Times New Roman e quelli privi di grazie (sans serif), detti anche "bastoni", come l'altrettanto usato Arial.

Poi naturalmente esistono caratteri dal sapore antico e altri più moderni, font eleganti che assomigliano alla scrittura a mano e altri che prevedono solo l'uso delle maiuscole (come per farsi notare a tutti i costi) e poi ancora altri mille, tutti diversi tra loro.

caratteri tipografici e personalità

Così, la Pentagram ha creato l'originale videotest "What type are you?" che abbina il font giusto a ognuno di noi: basta rispondere a quattro domande sulla personalità e il gioco è fatto. Non è detto che ci si riconosca nel risultato, ma certi giorni succede la stessa cosa anche allo specchio...

Per fare il test clicca qui, poi facci sapere com'è andata!

lunedì 8 aprile 2013

Il libro di carta sparirà o sopravvivrà all'e-book?

Da quando l'e-book ha iniziato a diffondersi anche in Italia, in tanti hanno profetizzato la scomparsa del libro di carta, basato su una tecnologia ormai vecchia che, secondo i sostenitori del digitale, diventerà in breve tempo obsoleta.

Ma è davvero così?
Nassim Nicholas Taleb, autore del bestseller Il Cigno nero, nel suo nuovo libro intitolato Antifragile sostiene che le tecnologie esistenti da più tempo (come il libro a stampa) sono anche le più antifragili, in grado di resistere a scossoni e cambiamenti, ed è proprio la loro durata a dimostrarlo: non a caso usiamo ancora oggi pentole e stoviglie molto simili a quelle ritrovate sotto la cenere di Pompei e indumenti e scarpe non tanto diversi da quelli di Ötzi, la mummia scoperta tra i ghiacci delle Alpi.

Taleb propone anche un metodo per quantificare la durata di una tecnologia. Il calcolo si basa sugli anni per i quali quella tecnologia è stata usata: se esiste da circa 500 anni, come il libro a stampa, significa che ha superato la prova del tempo e quindi le sue prospettive di sopravvivenza sono almeno pari ai suoi anni di vita, ossia altri 500. Perciò, se dobbiamo credere a Taleb, gli amanti della carta possono stare tranquilli...
A loro è dedicato il video che segue:

 

E tu che cosa ne pensi, il libro di carta sopravvivrà o verrà soppiantato dall'e-book?

venerdì 29 marzo 2013

Come superare il blocco dello scrittore

State scrivendo un romanzo o un racconto e sul più bello vi ritrovate a un punto morto e non sapete come proseguire. Che fare per superare il blocco?

Erle Stanley Gardner, inventore di Perry Mason, aveva ideato una "ruota della trama" da far girare ogni volta che si ritrovava a corto di idee (ma solo per i libri gialli). In sostanza aveva elencato tutte le piste cieche nelle quali potevano cacciarsi gli eroi dei suoi romanzi polizieschi: dal rapimento del testimone chiave alla falsificazione di documenti rilevanti per il caso.

Altri scrittori, invece, hanno studiato gli schemi ricorrenti nelle fiabe e nei racconti epici, facendo emergere le tappe comuni attraverso le quali si dipanano le storie. In caso di blocco, è sufficiente ripercorrere le tappe già descritte e individuare quelle mancanti, per poi ricominciare a scrivere di buona lena.

Gli schemi delle fiabe sono stati descritti dal linguista russo Vladimir Propp nel volume Morfologia della fiaba e sono riportati qui in dettaglio. In sostanza Propp analizzò 7 tipi di personaggi, 4 fasi della storia (equilibrio iniziale, rottura dell'equilibrio o complicazione, peripezie dell'eroe e ristabilimento dell'equilibrio) e 31 "funzioni" o tappe della narrazione.

Lo sceneggiatore Christopher Vogler ha invece analizzato i miti e pubblicato il volume Il viaggio dell'eroe, nel quale descrive le tappe, riconducibili ai miti antichi, che costituiscono ancora oggi le storie più avvincenti. Come Propp, anche Vogler ha rintracciato 7 archetipi di personaggi; ha inoltre descritto le fasi della storia suddividendole in tre atti: partenza, iniziazione, ritorno. Questo è il sito di Vogler dedicato al viaggio dello scrittore (in inglese) e qui si trova una sintesi in italiano del suo schema narrativo.

lunedì 18 marzo 2013

Come nascono i libri?

Un giorno, qualcuno si sveglia con una buona idea per scrivere un libro.
Un anno dopo, il volume è sugli scaffali di tutte le librerie. Ma... che cosa è successo nel frattempo? Come si passa da un'idea ancora imprecisa a un libro fresco e profumato di stampa, in cui l'idea è stata trasformata in parole, possibilmente senza refusi?

Ce lo spiega Mariah Bear della casa editrice Weldon Owen nella divertente infografica che riproduciamo qui sotto. Buona lettura!

come nasce un libro-Mariah Bear


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lunedì 11 marzo 2013

Le parole che non possiamo dire

Ci sono parole che non possiamo dire, che non ci fanno sentire a nostro agio, che troviamo di rado sui giornali?

Ce lo siamo chieste dopo esserci imbattute in un articolo dell'Internazionale ("Quello che i giornali non dicono", di David Randall) e nello spezzone di un vecchio film con Dustin Hoffman, Lenny (dedicato alla figura del comico statunitense Lenny Bruce), che riportiamo qui sotto.

Tutti e due riflettono e fanno riflettere sui termini che non si possono usare e sul significato di questo atto mancato.



Quali sono oggi queste parole tabù?

In genere sono quelle che indicano una differenza rispetto a una presunta "normalità" e una vergogna legata a tale differenza (ma chi è poi che si trova in difficoltà, il portatore dell'eventuale differenza o chi ha a che fare con lui?), su cui è intervenuto il movimento del politically correct.

Ad esempio quelle relative a:
  • Malattie del corpo e della mente. Non si dice "cieco", ma "non vedente", non si parla di "handicappati" ma di persone "diversamente abili".
  • Appartenenza etnica o religiosa. Se Lenny Bruce insisteva sulle parole "negro" e "giudeo" (perché nell'America di quegli anni la maggioranza dominante era bianca e protestante), in Italia oggi si evita di dire "nero", optando piuttosto per "persona di colore" o "extracomunitario".
  • Orientamento sessuale. A volte si fanno grandi giri di parole pur di evitare la parola "omosessuale", "gay" o "lesbica" e c'è addirittura chi si cava d'impaccio ripiegando su appellativi insultanti.
  • Mestieri che una presunta "maggioranza" reputa poco prestigiosi. Si dice "operatore ecologico" al posto di "netturbino" (ma a nessun bancario è mai venuto in mente di farsi chiamare "operatore nel campo del risparmio", come scrive Umberto Eco in questo divertente articolo sul politically correct).
Il punto è che non sono le parole di per sé a essere offensive, ma il portato ideologico di cui le carichiamo. L'importante allora è chiedersi che cosa non possiamo dire e scoprire perché non possiamo farlo...

Tu che cosa ne pensi?

Se l'argomento ti interessa, leggi anche "Una lingua per le donne", dove parliamo dell'uso al femminile di nomi tradizionalmente maschili, come "ministro".

lunedì 4 marzo 2013

A che cosa serve la punteggiatura?

Sapevate che il sistema di punteggiatura che conosciamo oggi è nato in Italia?
A inventarlo fu Pietro Bembo nel 1496, introducendolo nel De Aetna, un testo latino in cui descriveva un'ascensione sull'Etna.

Evidentemente la sua idea ebbe successo, visto che oggi tutte le lingue più diffuse (anche il cinese e l'arabo) utilizzano i segni di interpunzione e non saprebbero più farne a meno.

Ma a cosa serve veramente la punteggiatura?

'Pause for thought' photo (c) 2010, brett jordan - license: http://creativecommons.org/licenses/by/2.0/ Quando andavamo a scuola noi, alcuni maestri sostenevano che servisse a indicare le pause da fare durante la lettura: una pausa lunga per il punto, una più breve per la virgola.

E il punto e virgola?
Di questo soggetto imbarazzante non si parlava mai, oppure si diceva che rappresentava una pausa "media": dopotutto, non era cosa da bambini, e poi nei temi c'erano tanti errori ben più gravi da correggere, con tutte quelle "A" senz'acca e doppie smarrite chissà dove, che la punteggiatura finiva per passare in secondo piano.

Così la vita era più facile per tutti e le virgolette erano di un tipo solo, quelle "alte". La possibilità che ne esistessero addirittura altri due tipi ci pareva assolutamente impensabile, un po' come per i terrestri di Fringe il mondo parallelo. Difatti abbiamo preso coscienza solo molto tempo dopo, lavorando nell'editoria, dell'esistenza di «sergenti, detti anche caporali o virgolette basse» e 'apici' (e del fatto che ogni editore ha i propri gusti in materia).

Per non parlare poi dei trattini – quelli che servono per fare incisi anche di una certa lunghezza, magari con subordinate –, che non potevano certo essere considerati pane per i denti degli scolaretti. Quale bambino potrebbe mai voler costruire frasi così complesse, dopotutto?

Insomma, nelle scuole dei nostri tempi la punteggiatura era vista come un aspetto marginale e personale della lingua, che ognuno poteva (mal-)trattare come voleva. L'importante era ricordarsi di mettere la maiuscola dopo il punto, perché quello sì che sarebbe stato un errore da penna rossa.

'Question!' photo (c) 2007, Stefan Baudy - license: http://creativecommons.org/licenses/by/2.0/ Con il tempo e l'esperienza abbiamo poi scoperto che qualche regola, tutto sommato, c'era, anche se da piccole non ce l'avevano svelata: i segni di interpunzione sono indicatori logico-sintattici che aiutano il lettore a capire come si collegano tra loro gli elementi della frase. Ci dicono insomma quale porzione del testo è legata, e come, alle altre e ci aiutano a seguire lo sviluppo logico del discorso: mica male per dei segnetti tanto bistrattati!

Ecco allora qualche indicazione per fare buon uso della punteggiatura dal sito dell'Accademia della Crusca e alcuni articoli molto interessanti sull'argomento firmati da Luca Antonelli, Giuseppe Serianni, Sandro Veronesi e Francesca Serafini (autrice di Questo è il punto. Istruzioni per l'uso della punteggiatura, recensito in questo articolo di Matteo Motolese sulla Domenica del Sole 24 Ore).

venerdì 22 febbraio 2013

Urgente o importante? Come non farsi travolgere dagli eventi

Vi è mai capitato di correre, correre e non avere il tempo di alzare la testa e capire dov'è che state andando? A noi succede proprio in queste settimane e ieri ci siamo decise ad alzare gli occhi dalla tastiera per guardarci in faccia e, finalmente, domandarcelo.

In generale, siamo prese dalle urgenze: in questo periodo stiamo lavorando molto e abbiamo una (serrata) tabella di marcia da rispettare per consegnare entro i tempi stabiliti. Durante la giornata lavorativa dobbiamo poi incastrare anche altre urgenze: la telefonata che non si può più rimandare, tutte le email a cui bisogna rispondere, appuntamenti di lavoro, preventivi, note di pagamento e molto altro. E fin qui si tratta di urgenze importanti (quadrato 1): non possiamo rimandare troppo la risposta alle email, saltare tutti gli appuntamenti e smettere di inviare preventivi, perché ne va del nostro lavoro. Esiste però un'altro tipo di urgenze più insidiose sulla quale possiamo intervenire, le urgenze non importanti  (quadrato 3): l'addetto del call center che vuole venderci una nuova meravigliosa offerta, l'irrinunciabile commissione che ci sembra di dover sbrigare per forza entro oggi e simili.

Quello che ci manca quando siamo prese dalle urgenze è il tempo per fare progetti, studiare, decidere e portare avanti una strategia per il futuro, dedicarci alle (altre) nostre passioni. Tutte cose importanti per noi sia a livello personale, sia dal punto di vista professionale, ma non urgenti  (quadrato 2).

matrice eisenhower covey-urgente importante

Per fortuna c'è chi ha già riflettuto sulla questione: pare che sia stato addirittura Eisenhower a inventare un metodo per affrontare questo genere di problemi, sostenendo che "ciò che è importante è di rado urgente e ciò che è urgente è di rado importante". Poi il suo metodo è stato portato alla celebrità da Stephen Covey, ideatore dello schema che vedete qui sopra (e autore di Le 7 regole per avere successo)  e che trovate commentato sui siti Coachtive e Pratika e sul bel blog Borborigmi. Per gli amanti dell'informatica, poi, esiste anche un software che permette di organizzare gli impegni in base al quadrato di Covey, Priority Matrix.

Premesso che il tempo è limitato e che spesso il mondo esterno ci chiede di agire con urgenza, quello che possiamo fare (e non è poco) è decidere quanto le azioni che ci vengono sollecitate siano importanti e valutare di conseguenza la necessità di intervenire, invece di buttarci a testa bassa nella mischia.

Si tratta quindi di stabilire a priori che cosa è importante per noi, poi tagliare le attività non importanti (ad esempio navigare senza scopo in rete, passare ore su Facebook, trascorrere mezz'ora al cellulare con il famoso addetto del call center e cose del genere; insomma, le attività dei quadrati 3 e 4). Così potremo recuperare un po' del tempo che stiamo perdendo e dedicarlo alle cose importanti.

E se anche questo non basta? Forse allora ci stiamo facendo carico di troppe cose e le soluzioni possibili sono due: delegare oppure decidere di rimandare qualcuno dei nostri impegni.
Un ottimo sistema che abbiamo trovato è quello consigliato da Mark McGuinness in questo post (in inglese): è davvero di grande aiuto!

Se l'argomento ti interessa, ti segnaliamo anche questo post su come lavorare concentrati evitando le interruzioni e queste slide sulla gestione del tempo e degli obiettivi.
L'immagine di Rorybowman è tratta da questa pagina di Wikipedia.