domenica 30 gennaio 2011

La ricettazione delle Gemme del Mulino Bianco... e i linguaggi settoriali

Facendo colazione con le Gemme del Mulino Bianco, sulla confezione dei biscotti abbiamo letto uno slogan che ci ha lasciato interdette: "Gemme, una ricettazione speciale per un momento di raffinato piacere".


Pensavamo che la ricettazione avesse a che fare con il crimine, non con i biscotti! Abbiamo controllato sul vocabolario, ed effettivamente la ricettazione è il "Reato di chi, a scopo di lucro proprio o altrui, riceve, occulta o acquista denaro o cose di illecita provenienza".

Ma allora che cos'è successo ai biscotti del Mulino Bianco?
Abbiamo fatto due ipotesi:

1. che l'errore sia stato provocato dalla funzione di correzione o completamento automatico di Word;
2. che si tratti di un gergo settoriale o aziendale a noi sconosciuto.

1. Nel primo caso, c'è da dire che a volte le funzioni di correzione o completamento automatico di Word sono una manna. Ad esempio, se stiamo traducendo o scrivendo un testo di musica in cui l'espressione "direttore d'orchestra" ricorre ogni due frasi, possiamo impostare Word in modo che ogni volta che battiamo "dire" e aggiungiamo uno spazio, il programma scriva per esteso "direttore d'orchestra". (Come si fa a inserire questa funzione? Qui trovate le istruzioni per Word 2003, qui per Word 2007, dove la funzione si chiama "correzione automatica").
L'unico problema è che, da quel momento in poi, quando scriveremo il verbo "dire", Word completerà automaticamente la parola, con risultati buffi: "Quando John decise di direttore d'orchestra a James che aveva cambiato programma...".

2. Passando al secondo caso, per scoprire se si trattasse di gergo aziendale abbiamo fatto una ricerca su Google. Abbiamo scoperto che nel settore dolciario la parola "ricettazione" viene usata per designare la creazione di una ricetta.

C'è da chiedersi, però, se sia il caso di usare un linguaggio così settoriale sulla confezione di un prodotto destinato al grande pubblico.
Non sarebbe stato meglio scrivere "ricetta"? Avremmo perso una sfumatura di significato (la "creazione"), ma guadagnato in chiarezza ed evitato un effetto di comicità involontaria...
Ai lettori l'ardua sentenza!

mercoledì 26 gennaio 2011

Vuoi sapere se il libro ti piacerà? Vai a pagina 99

Quando siamo in libreria a fiutare un romanzo sconosciuto per decidere se vale la pena comprarlo, diamo un'occhiata alla quarta di copertina e ai risvolti, poi lo apriamo alla prima pagina per vedere come inizia.

Ma non è così che si capisce se un'opera è davvero buona, sosteneva lo scrittore Ford Madox Ford, che consigliava invece: "Apri il libro a pagina 99 e leggi, e la qualità dell'insieme ti sarà rivelata".

Ford Madox Ford

Ma sarà vero? In effetti è probabile che lo scrittore dedichi più attenzione all'incipit del romanzo che non a una pagina a caso, come la numero 99.

Abbiamo fatto una prova con libri di autori, lingue e generi diversi per vedere se il detto attribuito a Ford Madox Ford abbia un fondo di verità, ed ecco qua i risultati.

domenica 23 gennaio 2011

Inchiesta sull'e-book in Italia (II parte): cosa ne pensano i librai indipendenti

Eccoci alla seconda puntata della nostra inchiesta sull'e-book in Italia: stiamo cercando di capire come vedono l'avvento dell'e-book gli esponenti di importanti aziende e associazioni del settore.
Dopo questa intervista a Renato Salvetti di Edigita (una delle principali piattaforme italiane di distribuzione di e-book), abbiamo contattato Alberto Galla, vicepresidente vicario dell'Associazione Librai Italiani indipendenti, per sentire il suo parere sull'effetto che avrà l'introduzione dell'e-book sulla lettura e quindi sulle librerie.

alberto galla vicepresidente vicario dell'associazione librai italiani

Siamo partite cercando di capire se per le librerie indipendenti è possibile tracciare il profilo di un cliente modello.

 
1. Chi è il cliente tipo di una libreria indipendente? Che cosa legge? Che cosa non legge?
Non esiste un cliente tipo diverso tra libreria indipendente e libreria di catena, secondo me esiste un cliente lettore (o forte lettore) e un cliente più "molle", cioè meno assiduo nella lettura. Le librerie indipendenti semmai hanno un riferimento e un radicamento territoriale più forte, che le rende legate all'ambiente sociale e culturale di quel luogo.
Bisogna superare il luogo comune che vede nella libreria indipendente solamente un cenacolo di intellettuali e addetti ai lavori: se così fosse e in molti casi così è quella libreria è più esposta al rischio di una rapida estinzione.
In realtà la differenza la fa la presenza o meno di bravi librai, cioè di persone che sono in grado di fare con passione e competenza il proprio mestiere: e questa potrebbe essere una prerogativa delle librerie indipendenti, ma il condizionale è d'obbligo perchè esistono bravissimi librai anche in alcune libreria di catena...
E anche per quanto riguarda la lettura, a parte qualche "exploit" legato ai consigli di lettura del libraio, non ci sono ormai più sostanziali differenze.

mercoledì 19 gennaio 2011

Bibliodiversità: in difesa delle librerie indipendenti

Le librerie indipendenti italiane sono sempre più in difficoltà, ce lo confermano i dati del 2010: quelle di catena (500 Mondadori, 150 Giunti e 100 Feltrinelli) non hanno ancora raggiunto il numero delle piccole librerie senza marchio (meno di 2000), ma le hanno ormai superate per fatturato, e la tendenza non accenna a diminuire, anzi.
I negozi indipendenti che hanno dovuto chiudere negli ultimi due anni sono circa 150, e tra questi anche librerie storiche e prestigiose; in molte province italiane non esiste più un posto dove comprare libri.

Nel 2004, in un'intervista a Controradio, il giornalista Tiziano Terzani si era scagliato contro questa tendenza del mercato, in particolare di quello fiorentino:

Sono così pazzo che per protestare contro il degrado di Firenze e della mia ben amata via Tornabuoni, dove una delle più belle librerie di Firenze, la Seeber, è stata sostituita da un negozio che vende mutande firmate, ogni volta che ci passo davanti apro la porta e urlo dentro: “Vergogna!”. E con questo mi pare di aver fatto un gesto di libertà.

Insomma, con la chiusura delle librerie indipendenti rischiamo di perderci non solo la ricchezza di un patrimonio di bibliodiversità ma, in alcuni casi, anche artistico: guardate le foto scattate da Alessandra in una piccola e meravigliosa libreria indipendente di Porto, "Lello e Irmao".
Varrebbe la pena fare "un gesto di libertà"...

libreria bookshop lello e irmao oportolibreria bookshop lello e irmao oporto












Leggi anche il Manifesto delle librerie indipendenti.

domenica 16 gennaio 2011

L'inarrestabile avanzata dell'itanglese

Qualche giorno fa un amico che lavora in una grande azienda ci diceva di dover fare "il self-assessment delle skills". Era impazzito? Non poteva dire "l'autovalutazione delle capacità"? No, perché in azienda ormai si parla così.
E allora via con la conference call, il meeting, il fashion e il food, anche se in italiano abbiamo le parole "teleconferenza", "riunione", "moda" e "cibo".

C'è chi ha pensato di quantificare questa tendenza ormai in atto da diversi anni: la Agostini Associati (un'agenzia di traduzione) ha scoperto che dal 2009 al 2010 l'uso di termini inglesi nelle aziende è aumentato del 223%.
Per farlo, ha analizzato documenti aziendali italiani prodotti nel 2009, per un totale di 56 milioni di parole, confrontandoli con documenti del 2010 (54 milioni di parole).

Tra i risultati più inquietanti, il fatto che in alcune frasi l'inglese venisse usato addirittura in una parola su tre; sembra impossibile, e invece è fattibilissimo, come dimostra questo video.



Ma che cosa succede nelle altre lingue neolatine? Francesi, spagnoli e portoghesi parlano forse franglese, spanglese e portonglese?
Sembra proprio di no, e c'è addirittura chi esagera nel senso della nazionalizzazione: la Francia si è preoccupata di indire un concorso per far scegliere agli studenti l'equivalente francofono di alcuni anglicismi di uso comune, come chat e newsletter.
Per chat si è individuata la parola éblabla, mentre la newsletter è diventata infolettre.

Deve pur esistere una via di mezzo tra l'itanglese e la nazionalizzazione (che ricorda tanto l'italianizzazione forzata dei tempi del fascismo, in cui "bar" diventava "mescita" e "whisky" si trasformava in "acquavite"). Agostini Associati ha provato a cercarla proponendo un codice che segnali quando è accettabile inserire un termine inglese in un testo italiano e quando proprio non lo è: lo trovate qui.

mercoledì 12 gennaio 2011

Aiuto, il mio computer ha un virus!

Questo è il grido che abbiamo lanciato meno di una settimana fa, per l'appunto in un giorno festivo. E scommettiamo che a tutti quelli che lavorano incollati a un computer prima o poi è capitato di trovarsi in una situazione simile.

Che fare in questi casi? Soprattutto se è festa e non abbiamo a portata di mano amici smanettoni?


Noi abbiamo provato a rivolgerci ai forum online di esperti informatici e ne abbiamo trovato uno molto utile: Olimpo informatico. Nel forum è possibile sia leggere i consigli dati a utenti che hanno avuto problemi con gli stessi virus sia aprire un nuovo topic descrivendo il proprio problema specifico.
A quel punto (velocissimamente!) qualcuno risponde dando istruzioni chiare che vi guidano passo dopo passo in una serie di controlli per individuare i virus e la loro collocazione. Dopo aver eseguito le istruzioni, riferite i risultati, ricevete nuove indicazioni e avanti così finché il problema non si risolve (o si rivela talmente
grave da imporre di formattare il computer, ma questa è un'altra storia).

Naturalmente è buona norma fare i dischi di ripristino del pc quando lo si compra (servono appunto per formattare il computer e farlo ripartire come nuovo) e il backup dei dati a intervalli regolari: in caso di virus sono due risorse fondamentali. E speriamo di non doverle usare mai...

(Per la clipart ringraziamo OCAL.)

domenica 9 gennaio 2011

Tormentoni & venditori

Forse sono stati i venditori a inventare quei modi di dire che col tempo si sono trasformati in tormentoni ad ampia diffusione: "assolutamente sì", "quello che è...", "quant'altro", "lei m'insegna" e "piuttosto che" usato al posto di "oppure".

C'è chi è convinto che sia proprio così: Sandro Veronesi ha dedicato agli inventori dei tormentoni la pagina di un romanzo pungente e amaro, Venite venite B-52.
A p. 143, parlando del protagonista (un televenditore eccezionale), fa una divagazione sul "lei m'insegna":

"Perché il leiminsegna è il passepartout del venditore italiano, è il primo dei suoi fondamentali, ma soprattutto ne è l'emblema, è una sfera di cristallo con dentro tutto il suo destino che soffrigge: l'ottimismo, l'opportunismo, il trasformismo, il sorriso obbligatorio, il vittimismo, la solitudine, il fermacravatta d'oro, l'orologio d'oro, il dente d'oro, gli incidenti d'auto in posti sconosciuti, lo spigato del vestito, chiaro per non far vedere la forfora sulle spalle, "La Gazzetta dello Sport" con dentro la rivista porno, il rischio d'infarto, i ristorantini che fanno l'ossobuco, la macchina diesel, l'amico vigile che cancella le multe, c'è tutto. E attenzione, nessuno insegna al venditore il leiminsegna, il venditore lo sente per caso un pomeriggio sulla soglia di un negozio, da bambino, mentre passa per mano alla madre tornando dal catechismo, e non se lo scorda più, gli entra nel sangue, e anche se non passa di lì e non lo sente, il venditore al leiminsegna ci arriva da solo, se lo inventa lui, quello stesso pomeriggio, nella luce fessa della sua cameretta durante una qualunque trattativa con la madre, "...e quando dico no è no", "ma mamma, me l'hai insegnato tu che..." ed è fatta, il leiminsegna è suo per sempre. È una premonizione, ecco, un consegnarsi totalmente alla propria sorte, è un bere il calice fino in fondo. È tutto questo, il leiminsegna [...]".


Insomma, in un semplice "lei m'insegna" è racchiuso tutto un mondo.

Se Veronesi all'argomento ha dedicato una pagina, Stefano Bartezzaghi lo ha affrontato in un saggio: Non se ne può più. Il libro dei tormentoni, nel quale espone una legge fondamentale: "deprecarli è vano; classificarli è improbo; ignorarli è impossibile".
Qui trovate la recensione di Nello Ajello al saggio di Bartezzaghi e qui quella di Giuliano Milani.

giovedì 6 gennaio 2011

Se state leggendo un brutto libro ma vi sentite costretti a finirlo...

...non siete i soli.

I lettori, infatti, si possono dividere in due categorie: quelli che, alle prese con un libro che non piace, decidono di mollarlo, e quelli che devono finirlo a tutti i costi.

Se fate parte della prima categoria, per voi la lettura è sempre un piacere; forse, però, è possibile ricavare qualcosa di utile anche da un brutto libro. Lo sostiene Stuart Evers sul blog di libri del Guardian, in un articolo intitolato The Good Side of Bad Books (Il lato positivo dei libri brutti), di cui vi traduciamo i passi salienti:

"Nell'arco di una vita possiamo leggere solo un numero finito di libri, quindi passare del tempo con un libro che nel giro di 50 pagine sai già che ti ammorberà come una carcassa sotto il sole da due giorni sembra un controsenso. È molto più sensato metterlo giù e sceglierne un altro dalla pila in perenne aumento dei libri da leggere. Eppure, per qualche ragione non sono capace di farlo.

domenica 2 gennaio 2011

Non si giudica un libro dalla copertina... o forse sì? Libri e marketing

Una volta le copertine erano tutte uguali, marroncine e senza disegni; cambiava soltanto il titolo.
Oggi un libro è considerato anche un oggetto da vendere, quindi la copertina viene studiata dal punto di vista grafico in modo da attrarre il lettore/compratore.

Negli ultimi anni, poi, il marketing editoriale si è sbizzarrito: le copertine dei principali bestseller sono state presentate ai fan con qualche mese di anticipo sull'uscita del libro, dando anche la possibilità di commentarle sul sito dell'editore o sui social network.

È successo ad esempio per l'ultimo volume di Harry Potter e per la copertina di Under the Dome di Stephen King, svelata in 4 parti tra il settembre e l'ottobre 2009. Una volta ricomposta, la copertina realizzata da Rex Bonomelli appariva così:


Qui si vede la cupola (citata nel titolo) che da un giorno all'altro si posa sopra una tranquilla cittadina del Maine, dando inizio a un incubo.

La casa editrice inglese Hodder & Stoughton, invece, ha optato per una strategia di marketing innovativa, mettendo in commercio lo stesso volume di Stephen King con 4 copertine diverse:


Queste copertine fanno pensare alle locandine di un film e probabilmente vogliono stimolare nei fan il desiderio di collezionarle tutte. Del resto, dal libro è stata tratta una serie televisiva con lo stesso titolo che ha avuto tre stagioni (1 -23).

Se a questo punto siete curiosi di vedere la copertina della prima edizione italiana, eccola qua: è simile a quella originale (anche nel titolo, che è stato lasciato in inglese, anche se abbreviato togliendo under e lasciando soltanto The dome):



L'unica differenza sta nel nome dell'editore, che nella versione americana non compare. Ma anche questo è frutto di una strategia di marketing: negli Stati Uniti ogni libro è visto come un caso a sé da lanciare, pertanto la copertina deve essere bella, e non deve necessariamente rimandare a una determinata casa editrice.

In Italia, invece, il libro deve prima di tutto essere riconoscibile come pubblicazione di una certa casa editrice, all'interno di una determinata collana. La copertina, quindi, deve assomigliare all'editore.
(Per approfondimenti, leggi questo articolo di Benedetta Marietti su La Repubblica)