lunedì 15 gennaio 2018

Perché si diventa lettori (e da grandi si lavora nell'editoria)?

Come tanti genitori, forse vi scervellate chiedendovi che cosa fa di un bambino un futuro divoratore di libri e di una bambina una futura lettrice appassionata, in modo da poter dare queste utili abitudini ai vostri figli.
E pensando a voi stessi, sapreste dire perché avete sviluppato la passione per la lettura?

Queste sono le domande che si è posta anche Shirley Brice Heath, studiosa di antropologia linguistica, andando in giro per gli Stati Uniti negli anni Ottanta. Grazie alle sue ricerche ha trovato non solo le risposte, ma anche il motivo che spinge tante persone a fare dei libri il proprio mestiere.

La studiosa ha frequentato le "zone di transizione forzata", ossia i luoghi nei quali la gente è costretta a passare il tempo senza poter guardare la tv né, all'epoca, lo schermo del cellulare: ha visitato aeroporti, viaggiato sui mezzi pubblici, è andata nelle località balneari. Qui ha individuato coloro che, invece di fare qualcos'altro, leggevano opere letterarie di qualità, dopodiché li ha intervistati per scoprire come fossero diventati voraci lettori.


Innanzitutto ha scoperto che in genere queste persone avevano sviluppato la passione per la lettura quando erano bambine.

Quanto al perché avevano iniziato a coltivare un forte interesse per le opere letterarie, Shirley Brice Heath ha notato che i lettori appassionati ricadevano in due categorie:
  • quelli che si erano tuffati nei libri perché uno o entrambi i genitori amavano leggere;
  • quelli che da bambini erano degli "isolati sociali" e, sentendosi diversi da coloro che li circondavano, avevano stabilito un dialogo con gli autori dei libri che leggevano.


E la studiosa non si è fermata qui: intervistando tantissimi romanzieri, è giunta alla conclusione che i lettori del tipo "socialmente isolato" hanno molte più probabilità di diventare scrittori (e, aggiungiamo, forse anche traduttori e redattori?) rispetto a quelli che hanno iniziato a leggere imitando il modello genitoriale.

Se la lettura era il mezzo di comunicazione preferito durante l'infanzia, da adulti la scrittura (così come, ipoteticamente, la traduzione e la redazione) può essere tra i canali privilegiati per connettersi al resto del mondo.

Per quanto ci riguarda, dobbiamo dire che la teoria di Shirley Brice Heath è fondata.
Certo, abbiamo qualche resistenza ad ammettere che da piccole eravamo due "isolate sociali", ma per fortuna Jonathan Franzen, che all'argomento ha dedicato questo saggio, ci rassicura affermando che "il fatto di essere un bambino socialmente isolato non condanna automaticamente a diventare un adulto imbranato alle feste e con l'alito cattivo".

Che ci dite di voi, vi riconoscete in questi risultati?


Le foto sono di Visualhunt.com.

2 commenti:

  1. Un mix delle due cose... certamente una protezione isolante da una famiglia impegnativa e anche per una mia naturale introversione; inoltre la famiglia apprezzava in generale la lettura e quindi il "rifugio" nei libri era socialmente ammesso! Infine, e credo che conti anche questo, una mia fantasia scatenata che si nutriva moltissimo nei libri più che nella vita "reale"!

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  2. Ciao Franca,

    grazie per aver condiviso la tua esperienza!
    Anche gli altri commenti ricevuti su Facebook ci confermano che in linea di massima la teoria della studiosa è valida... e la fantasia è un ulteriore stimolo!

    Quindi... buone letture a te e a tutti!

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