lunedì 1 dicembre 2014

Dottore, mi fanno male le iperboli...

Se lavori con le parole oppure leggi i giornali, avrai sperimentato e magari sofferto il dilagare delle iperboli.
Pare ad esempio che i delitti debbano essere sempre "efferati" (come se non bastasse uccidere qualcuno), gli attacchi "violenti" e le divergenze "insanabili".
Anche le quarte di copertina dei libri spesso non scherzano: le opere sono invariabilmente "eccezionali", i personaggi "indimenticabili" e le trame "avvincenti".
E la questione non è soltanto italiana: le guide turistiche, come tanti traduttori sanno, sono un altro terreno di coltura del superlativo. Ci ritroviamo allora ad affrontare, nella stessa frase, una "beautiful city" con tanto di "enchanting views", "breathtaking treasures" e "magnificent works of art".


Le iperboli, insomma, ci bombardano da ogni parte, cercando di suscitare in noi sdegno, ammirazione, disgusto o una qualunque altra emozione della vasta gamma umana. Possibilmente estrema.

Il punto è che quando ogni sostantivo è accompagnato da un aggettivo che lo esalta al massimo grado, tutto si appiattisce e noi diventiamo incapaci di capire se un evento o un libro sono davvero fuori dal comune: il fatto di cronaca ci appare identico a mille altri, il libro insulso e la guida turistica inservibile.

Proprio per evitare una deriva del genere il direttore di un giornale raccomandava ai neoassunti: "Si ricordi che ogni frase ha il soggetto, il predicato verbale e il complemento oggetto. Punto. Se vuole usare un aggettivo, venga prima nel mio ufficio e mi chieda il permesso".

Forse aveva ragione, un po' di ecologia mentale non guasta... riserviamo i superlativi alle occasioni davvero eccezionali: per le altre ci sono tanti aggettivi "normali" tutti da riscoprire.
Senz'altro ci guadagneremo in sobrietà e secondo alcuni anche in... salute mentale.


La foto di Dr.Farouk è rilasciata con licenza Creative Commons CC BY 2.0.

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