mercoledì 5 giugno 2013

Hai mai cambiato il tuo accento regionale?

In questi giorni riflettevamo sulla nostra esperienza di "espatriate" in patria: Francesca, che è toscana, ha vissuto per alcuni anni a Milano e adesso Alessandra, che è milanese, vive in Toscana.

In queste nostre permanenze in regioni diverse dal quella in cui siamo nate, ci siamo accorte di aver perso qualcosa del nostro accento regionale di origine e di avere acquistato qualcos'altro che prima non c'era.

Così alla fine ci siamo domandate: qual è il nucleo davvero irrinunciabile dell'accento? Qual è la parte che non cambia nemmeno vivendo per anni altrove?

speaker alla radio

Dopo averne discusso per un po', abbiamo stilato la nostra classifica degli elementi della pronuncia che possono cambiare, dal più facile al più difficile:
  1. La prima cosa che cambia, almeno un po', è l'intonazione: si acquisisce in parte la "musica" locale o quantomeno si perde quella d'origine.
  2. La seconda cosa a cui si può rinunciare è la pronuncia delle consonanti: se Francesca a Milano si mangiava di meno le "c" e le "t" toscane, Alessandra in Toscana ha iniziato a farlo (qualche volta senza nemmeno rendersene conto!).
  3. L'elemento più tenace, più difficile da cambiare, è dato dalle vocali: a Milano si dice "biciclètta" (con la "e" aperta), in Toscana "biciclétta" e in entrambi i casi pare impossibile poter fare altrimenti... anche dopo anni di permanenza in mezzo a persone che quella vocale la pronunciano diversamente da noi.
E voi, avete mai cambiato il vostro accento regionale? Se sì, fino a che punto?

Se l'argomento vi interessa, leggete anche questo documento sulla fonetica dialettale e questo articolo della Treccani sull'italiano regionale.
La foto rappresenta Jean Stecker Weil e Louis Goldstein negli studi della ABC ed è tratta da Flickr.


5 commenti:

  1. Io vivo da 12 anni in provincia di Bergamo dopo una vita a Milano e il mio accento è diventato "spurio". Chi mi conosce oggi nota il mio accento diverso, chi mi conosceva ieri nota la degenerazione orobica. Aggiungerei un dato alla vostra teoria. L'accento cambia anche a seconda del registro. Mi spiego meglio. Quando parlo con i miei figli, sono un po' alterata con loro o semplicemente proferisco un'esclamazione spontanea, ecco che il bergamasco fa capolino .. e vengo presa in giro dal mio compagno che invece ha mantenuto il suo accento originale. C'è anche un accento degli affetti e della quotidianità, che si manifesta solo in determinate condizioni. Un caro saluto
    Daniela Magnoni

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  2. Nasco nella Valbormida ligure (ossia, sul confine, né carne né pesce). Dopo 11 anni in collegio in Piemonte, sia pure a soli 40 km, mi prendono in giro per l'accento piemontese, mentre io non posso fare a meno di percepire come drammaticamente ligure l'accento dei miei compaesani, soprattutto quelli che si sono trasferiti più vicini alla riviera (e credo che l'allontanamento dall'originale tocchi quindi sia me sia loro). In questo caso è solo questione di cadenza. E il brutto è che rimane anche parlando in dialetto...
    Poi, anni a Torino e 5 a Roma. E qui mi impongo di non perdere il mio italiano regionale, ma in modo più consapevole: pronuncia precisa delle "c" dolci e delle "sc", evitare come la peste i raddoppiamenti abusivi. In questo caso l'inculturazione linguistica (cui ho resistito) consisteva principalmente in elementi fonetici, sufficienti a fare da argine. Infatti ai miei primi discorsi in pubblico mi sono sentito fare i complimenti per l'ottimo italiano. "Ma, signora, io sono italiano". "Ah sì? Credevo brasiliano" (e qui forse la cadenza ligure, a distanza, riemergeva...). La logorrea resiste in tutte le forme regionali, invece.

    Angelo Fracchia

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  3. E siccome non c'è logorrea senza ritorno... L'aspetto vocalico ho potuto approfondirlo meglio nella convivenza con mia moglie, salentina... che da una parte mi risulta completamente incapace di sentire la differenza tra "pésca" e "pèsca" (tutto aperto, per lei), ma dall'altra mi arriva a casa, circondata dai suoi studentelli contadinotti, con una cadenza piemontese che dà fastidio persino a me... :-) e che per fortuna le passa in mezz'ora.

    ri-Angelo ri-Fracchia

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  4. Ciao Daniela!

    Hai ragione, anche noi abbiamo notato che l'accento si fa più forte con i familiari o in momenti di maggiore spontaneità... immagino che i tuoi figli abbiano un accento bergamasco, visto che con loro lasci il milanese per avvicinarti al dialetto locale! Noi invece, parlando con la famiglia, torniamo alle rispettive origini...

    A presto!

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  5. Ciao Angelo,

    grazie per il tuo racconto!

    Anche in milanese pésca e pèsca vengono pronunciate allo stesso modo (tutto aperto) e tra me e Alessandra questo dà il via a interminabili discussioni:
    "Ma come, per voi quella del pesce è la pèsca? Ma dai, si dice pésca!"
    "Pésca, ma vuoi scherzare? Impossibile!"
    E via discorrendo.

    Però "Pistoia", che in toscano si pronuncia con la "o" chiusa mentre in milanese con la "o" aperta, per il fatto di viverci è diventata anche per Alessandra una Pistoia toscana.

    Forse dipende dal momento in cui si acquisisce una parola: la pésca si impara da piccoli, nella propria regione di origine (magari alle elementari studiando le regioni italiane e i loro settori produttivi), mentre il nome della piccola città in cui si decide di trasferirsi da adulti si radica in noi quando siamo più grandicelli...

    A presto!

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